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Guardare la vita con gli occhi di una donna

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Guardare la vita con gli occhi di una donna. Un obiettivo che si pone l’autore Pietro Buccinnà nello scrivere e nel raccontarci Era una donna ed era mia madre.

1.Bentornato Pietro, dopo “Uomini e basta” ci ritroviamo per raccontare “Era una donna ed era mia madre”. In che modo la bugia funge da forma di protezione per Alasia?

Possiamo considerare  Alasia come la rappresentante del mondo femminile, nell’epoca in cui si svolge la sua storia, e in parte, sicuramente  minore ai giorni nostri.  La bugia, nel nostro caso, rappresenta un modo per sopravvivere in un mondo creato dagli uomini, e da una cultura religiosa, dove il giudizio morale diventa una sorta di tatuaggio indelebile. Quindi, per la nostra protagonista, che cerca di portare avanti una sorta di giustizia sociale, nel momento in cui sentirà crescere una vita dentro di lei, il suo istinto la porterà a proteggerla, e a mettersi in secondo piano, perché quel mondo giudicherebbe anche la figlia per le scelte della madre.

2. Puoi approfondire l’evoluzione di Alasia nel suo passaggio da giovane donna a madre, e quali eventi chiave influenzano questo percorso?

All’inizio della storia, quindi nel 1939, Alasia è una giovanissima dodicenne figlia unica, che vive a Torino, in una famiglia benestante, composta da una madre casalinga e un padre Ufficiale dell’esercito. Studia dalle suore, e in quel contesto ha anche le sue amicizie. I suoi stessi genitori, evitano di portare in casa ciò che il mondo sta plasmando oltre le mura di casa, facendo sì che la ragazzina cresca sotto una campana di vetro , dove solo letture e gioco sono gli unici suoi problemi.

La prima svolta, avviene quando la guerra comincerà anche per noi, e suo padre sarà inviato in Russia, da dove non tornerà più. Alasia, avrà difficoltà a comprendere concretamente i concetti “guerra “ e “morte”. Nel suo immaginario, il padre è in una nazione chiamata Russia, e che ha compreso dove essere su di una cartina scolastica, ma non lo riesce ad immaginare morto, quindi non soffre, ma contempla dispiaciuta la sofferenza della madre.

La seconda svolta, è sicuramente la fuga da Torino con la sua genitrice, tornando in un piccolo paese sulle colline piemontesi verso la Liguria, dove vivono la zia e la nonna. Il cambiamento è totale, niente suore, ma semplici maestri, e gli amici sono ragazzini come lei ma emotivamente diversi.

La svolta definitiva, arriva nel 1943, dove la guerra li raggiunge anche nel loro piccolo paese, e dove lei inizia a conoscere il suo corpo e gli effetti che ha sull’uomo.

3. Qual è il messaggio principale riguardo al ruolo delle donne durante la Resistenza che hai voluto trasmettere attraverso il tuo romanzo?

Credo che la partecipazione alla resistenza, abbia permesso loro di accorciare le distanze con gli uomini, e di ritagliarsi uno spazio in cui essere femmina era meno subordinante. Quello è stato l’inizio di un’evoluzione comunque lenta che ci ha portato fino a dove siamo oggi. In realtà, nel romanzo le donne  partigiane, che possono pretendere qualcosa per aver combattuto, sono poche, e come si vedrà nella storia, si comporteranno come gli uomini, giudicando moralmente le altre donne che come Alasia, hanno subito la guerra quasi in silenzio, e non ne hanno compreso il senso.

4. “Non dobbiamo mai giudicare la vita degli altri, perché ciascuno conosce il proprio dolore e la propria rinuncia. Una cosa è pensare di essere sulla strada giusta, ma tutt’altra è credere che la tua strada sia l’unica.” Questa è una frase di Paulo Coelho, ma è anche una riflessione presente inEra una donna ed era mia madre”. Quanto è difficile essere tolleranti con l’altrui punto di vista?

Credo che Coelho l’abbia scritta dopo avermi conosciuto ( ovviamente è una battuta ). Quello che intendo dire è che  le mie esperienze di vita, mi hanno insegnato che prima di esprimere un giudizio, bisogna provare a guardare il mondo con gli occhi del giudicato. Immaginiamo un mondo fatto autostrade, di strade, di vie, e di sentieri, questo dovrebbe farci capire che la persona, qualunque strada imbocchi, raggiungerà comunque un luogo. Questo per dire che se ne imbocchiamo una per nostra volontà, senza giudizi e condizionamenti, raggiungeremo qualcosa che ci maturerà durante il viaggio e scopriremo chi veramente siamo. Se invece, ci facciamo prendere dai dubbi o dalla paura di sbagliare, dobbiamo soffermarci a pensare che le strade hanno due sensi di marcia, e che tornare indietro è comunque una strada presa. Nel fare tutto questo, la mia prima regola per iniziare il viaggio è sempre stata quella di comprendere chi incontravo sul mio sentiero ma nella direzione opposta. Ogni fatica che noi facciamo ci fa apprezzare di più il momento del riposo, e la vita insieme agli altri è spesso molto impegnativa e faticosa, ma se ci fermiamo ad ascoltarli, apprezzeremo di più la nostra.

5. “Che la Guerra è bella anche se fa male…” Non ho mai capito perché De Gregori abbia inserito questo verso in una delle sue più belle canzoni. Ma poi, ripensandoci, ho capito che non vuole significare che la guerra è bella ma che nonostante la guerra possono continuare ad esserci cose belle: come la nascita di un bambino. Anche tu hai compiuto la stessa riflessione nella scelta di raccontare l’attesa di un bambino durante un conflitto bellico?

C’è una frase che lessi molto tempo fa, di cui non ricordo l’autore, che diceva “ l’uomo non ama la guerra, ma quando c’è la vuole fare” . Se ci fermiamo a riflettere, l’intera evoluzione umana ha in ogni epoca una o più guerre, e direi che non ha ancora smesso. Quindi non possiamo dire di non conoscerne gli esiti e le conseguenze, eppure immaginarci con un arma in mano ci fa sentire più maschi che tenere nelle stesse un libro. Non voglio sfruttare frasi già sentite, ma vorrei capire perché non ci educhiamo a fare l’amore con il prossimo, piuttosto che ucciderlo, impariamo ad elevare il rantolo di un orgasmo e non quello di una vita che finisce. Non posso dire ciò che rappresenta il bambino che deve nascere, perché sarei costretto a svelare troppo del libro, ma posso dire che nascere e morire è un processo inevitabile anche nel peggiore dei mondi.

6. Secondo te, se i protagonisti di quel periodo storico potessero magicamente riapparire: cosa direbbero ai potenti della Terra che oggi ci governano?

La risposta sarebbe troppo semplice, direbbero che le loro fatiche e le vite di chi è morto, sono state sprecate. Dobbiamo però ammettere che dopo ogni guerra, la conseguente pace ha sempre portato cambiamenti e sviluppo, come se l’intero mondo fosse concimato dal sangue di chi è morto per renderlo più rigoglioso dopo. Il problema resta di noi esseri umani, e tornando alla domanda che riguardava la strada giusta da prendere, sappiamo che quella che imboccherà una parte dell’umanità, non accontenterà l’altra. Quindi l’unica cosa da fare per ogni uno di noi e quella di dare del suo meglio, essendo consapevoli che chi verrà dopo di noi potrebbe anche non condividere le scelte che abbiamo fatto.

7. In che misura la tua esperienza personale ha influenzato la scrittura di questa storia e la caratterizzazione di Alasia?

Quando cerchi un personaggio che interpreti il tuo libro, da scrittore maschio l’ho sempre cercato uomo. Le cose che scrivo, sono inevitabilmente il frutto della mia conoscenza sommate alle mie esperienze di vita e alla mia emotività. Tra le mie esperienze, ce né una molto importante ed è quella del rapporto con l’universo femminile. Da sempre ho lavorato con donne, ed è cosi ancora oggi, e questo mi ha permesso di guardarle non solo nelle forme, ma anche di ascoltare il loro mondo e ad imparare a comprenderlo. Per questo mi sono sfidato e ho provato a scrivere una storia guardando ciò che avviene, con i loro occhi e con i loro sentimenti…. Ci sarò riuscito?… Questo me lo direte dopo averlo letto.

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